Si tratta si una forma di allevamento ittico a bassissimo impatto ambientale, ma i punti di contatto con “AKUADUULZA” finiscono qui. Eppure mi piaceva dare la notizia perchè è una “buona notizia” e sappiamo di questi tempi quanto ce ne sia bisogno.
Siamo in Madagascar, politicamente una Repubblica che occupa un’isola (la quarta più grande isola del mondo) che si affaccia sull’oceano indiano. Un paradiso naturale che sta svendendo il proprio ambiente e le proprie materie prime, complice una corruzione politico-amministrativa che in Africa è dilagante (anche se da questa parti non ci difendiamo male).
Il protagonista di questa storia si chiama “cetriolo di mare” (veramente noi da ragazzi lo chiamavamo “stronzo di mare”, ma dev’essere perchè lo trovavamo spesso morto, di color marrone, galleggiare sul pelo dell’acqua) eccolo nelle due versioni:
Sembra incredibile ma questo inquietante cilindrone molliccio, in Asia, è ritenuto una prelibatezza alimentare, ricercata per le supposte (è il caso di dirlo, vista la forma) proprietà medicinali e afrodisiache, è un prodotto costoso e ricercato, riservato ai ricchi (è il colmo, sfruttare i bambini e farli lavorare nelle fabbriche in condizioni inumane e poi perdersi in queste “stronzate”).
Fattostà che in Madagascar, a causa di queste bizzarrie asiatiche, i cetrioli di mare sono seriamente mionacciati, la loro presenza si è ridotta dell’85%. E’ stato così una popolazione locale, i Vezo, che curano direttamente la riserva marina di Velondriake, hanno pensanto bene di allevarli.
Li introducono in recinti protetti quando hanno le dimensioni di un ditale
e dopo nove mesi passano a raccoglierli,
senza neppure la necessità di dar loro da mangiare, perchè questi strani echinodermi bentonici traggono il loro nutrimento dal fondo marino.