(di EmeritoEttore)
Già nel V secolo a.C. il tiranno di Siracusa Gelone teneva vivo il pesce pescato in una grande “pescheria” rifornita d’acqua di mare ed altrettanto facevano i ricchi greci di Alessandria e di Pergamo; tale pratica acquistò ben altra diffusione e importanza presso i Romani, i quali spesso non si accontentavano di mantenere semplicemente in vita i pesci ma procedevano ad un loro vero e proprio allevamento alimentandoli sistematicamente.
Oltre che ad uso di singoli privati facoltosi questi vivai venivano realizzati a fini commerciali, nel quale caso la loro collocazione ambientale poteva variare a seconda delle diverse esigenze delle specie ittiche allevate: litorali fangosi per “pesci piatti” quali solgliole, rombi e passere; rocciosi per triglie murene e pesci di scoglio in generale; sabbiosi per dentici, orate e ombrine.
Straordinariamente dettagliata al riguardo la documentazione giuntaci attraverso nove flaconi di vetro colorato recanti come decorazione la planimetria dei famosi bacini di pescicoltura e molluschicoltura della campana Baia, con tanto di didascalie esplicative.