Gli … Alieni

Ospitiamo un ampio estratto di un articolo scritto da Daniele Canna funzionario del settore “Agricoltura” della Provincia di Novara.

In principio era il Lavarello (oggi più conosciuto come Coregone) venne ripetutamente immesso nei nostri laghi, proveniente dalla Svizzera (si presume, ma alcuni parlano anche di Slovenia) ai fini industriali, per le bontà delle carni e la ricercatezza ed oggi, possiamo dire che la specie, se pur dopo mutazioni ed incroci, sia stanziale nel Maggiore e presente nel lago d’Orta.

Esempio di inserimento invasivo anche se forse casuale è il Persico Sole, specie proveniente dagli Stati Uniti, è arrivato casualmente con pesce d’importazione e anche con soggetti da acquariologia e poi rilasciato. Si è ambientato subito e dai canali del Mantovano, ha ampliato la sua area vivibile a tutte le zone coperte dagli affluenti del Po ed oltre.

Da allora sono arrivati la Carpa erbivora, il temolo Russo, la Breme, il Gardon, la Pseudorasbora e … possiamo continuare fino ad arrivare ai nostri tre Alieni che per la loro pericolosità biologica meritano la mia trattazione specifica.

Misgurnus Anguillcaudatus

Questo ciprinide teleosteo, appartiene alla famiglia dei Cobitidae, proviene dall’Asia la reale ragione della sua introduzione in Italia non è ad oggi sufficientemente chiara (molte ipotesi ma non probate) .

Inizialmente, quando è stata riscontrata la sua presenza, i pescatori lo scambiarono per una qualche specie di lampreda, ingannati dalla sua dimensione (puo’ raggiungere anche 20 cm.) poi ad una accurata visione da esperti si manifesto’ quale era la sua reale appartenenza.

Questa specie si è assolutamente adattata nelle nostre zone, nel bacino del Po si ritrova quasi uniformemente, nel novarese è sempre piu’ frequente nelle zone risicole in quanto specie poco sensibile agli inquinamenti, con forte resistenza all’anossia (in condizioni di mancanza di ossigeno, affiora inghiotte aria che passa dal tubo digerente e viene espulsa dall’ano, in questo tragitto i villi mucosali catturano l’ossigeno e gli permettono la sopravvivenza).

Preferisce acque calde stagnanti anche fangose (rogge, risaie, canali di scolo)

Io stesso ne ho catturati alcuni mentre raccoglievamo le prove ittiche (carpette e tinchette) in risaia nella zona di Vespolate (NO), di misure varianti dai 14 ai 23 cm.

E’ molto simile al congenere cobite nostrano (a parte per le dimensioni ovviamente) e la sua competizione vitale con il cugino autoctono è assolutamente a suo vantaggio, primo per la forte resistenza negli stadi giovanili, poi perché essendo altamente gregario forma popolazioni coese che di fatto cacciano altri soggetti ed in ultimo, la facilità riproduttiva, che pare ripetuta piu’ volte nel corso dell’anno, giocano assolutamente a suo favore.

La rarefazione di Cobitis Tenia e Cobitis Barbatellus già iniziata con  la progressiva avanzata dell’inquinamento, è stata potenzialmente velocizzata dalla comparsa di questa specie (e anche di Misgurnus Fossilis soggetto parallelo proveniente dai bacini dell’Amur). Il cobite, animale delicato e gentile abitatore delle nostre pianure, era un anello importante della catena alimentare ittica , oltre ad essere un controllore di alghe e crostacei a livello larvale. Apprezzato a livello locale come ottima frittura, era anche preferito dai pescatori come esca per la cattura dei Persici Reali. La sua nicchia vitale ben definita, delimitava le zone fontanili della bassa novarese dai canali scolmatori alle “tombe” dei canali Cavour e Regina Elena. Alcuni vecchi contadini , prevedevano l’annata agricola dal quantitativo di Cobiti che si raggruppavano nelle buche dei canali durante le asciutte.

 Procambarus Clarkii

Il carro armato del fiume. Questo gambero , proveniente dagli Stati Uniti e piu’ precisamente dalle paludi della Luisiana, è stato introdotto a scopo di allevamento (piu’ raramente a scopo di acquariofilia) in alcuni bacini del centro Italia, come per altre situazioni (purtroppo) già viste, doveva diventare a detta di alcuni allevatori sprovveduti, l’oro rosso alimentare italiano. Di fatto dopo alcuni mesi di scarsi risultati commerciali , la gente se ne disinteressò e buona parte dei soggetti allevati fu liberato nei canali adiacenti. La sua forte adattabilità, fece il resto.

Il Procambarus o gambero rosso della Luisiana, appartiene alla famiglia dei Cambaridi, ordine Decapodi, possiede un carapace rosso scuro, chele robuste e pronunciate , ottimo predatore, puo’ raggiungere i 15 centimetri, è molto attivo sia di giorno che di notte, la femmina puo’ ospitare sotto l’addome circa 250/300 uova con ritmi riproduttivi anche di 3 volte l’anno.

Ottimo scavatore crea gallerie di alcuni metri appena sente la carenza di acqua , si nutre sia di vegetali che di insetti , lombrichi, avannotti, fregola di pesce.

Scaccia ed aggredisce qualunque avversario ed in particolar modo  Austropotamobius pallipes, (il nostro gambero comune).

Storia già vista, storia antica. Il nuovo arrivato, ha trovato condizioni ottimali di vita e si stà insediando a tutti gli effetti nella nicchia vitale del gambero nostrano comune, soggetto piu’ piccolo piu’ schivo, meno combattivo e legato ad una muta piu’ lunga che lo rende preda  del … carrarmato rosso.

Il Procambarus viene pescato ma non in modo continuativo, casualmente entra in qualche rete e solo ultimamente alcuni agricoltori utilizzano nasse  posizionate nei canali di scolo delle risaia e dei fossi irrigatori per cercare di contenerne il numero in quanto l’elevata densità mette anche a rischio gli argini per la loro propensione a scavare.

La carne in realtà di soggetti tenuti per qualche giorno in acque correnti è abbastanza gustosa e sicuramente valorizzabile (non a tal punto da entrare in concorrenza con gamberi di mare) .

Troviamo il Procambarus oramai in qualunque corso d’acqua  e cave e laghetti, grazie alle sue abilità negli spostamenti si è adattato come abitante definitivo di zone del gambero Italiano , oltre alle potenzialità  vitale, pare essere vettore di parassiti letali al gambero autoctono Italiano … Come sparare sulla Croce Rossa no ? …

Silurus Glandis

Forse il più conosciuto dei nostri “alieni”, per la serie: avanti c’è posto , il Siluro è stato inserito circa quarant’anni or sono nei nostri corsi d’acqua, anch’esso arrivato da allevamenti o scambiato inizialmente  per Pesce Gatto (Ictalurus) si è adattato in modo ottimale nel bacino del Po , nei suoi affluenti ed ora presente in forze anche nell’Arno, Aniene, Tevere e laghi e fiumi del centro Italia.

Originario dell’Europa centrale abitatore dei fiumi a grande portata, della classe degli Actinopterygii ordine Siluriformi, questo grande … maiale d’acqua si adatta in modo ideale anche alle foci salmastre, ai laghi, alle cave ed ai laghetti di pesca sportiva.

Occhi piccoli laterali superiori, corpo cilindrico, ha tre paia di bargigli, che lo aiutano nella ricerca del cibo in quanto di vista debole, la coda sinuosa e di forma squamiforme ne fa un ottimo nuotatore.

Caccia indifferentemente a fondo a mezz’acqua o in superficie, le taglie maggiori pare siano state riscontrate nel fiume Arno (50/60 kg di peso) . Il periodo in cui manifesta le massime doti di aggressività è quello pre e post riproduttivo in cui la sua dieta varia da pesce di qualunque specie, invertebrati, anatidi, piccoli mammiferi ed uccelli acquatici. Le sue cure parentali, affidate al maschio sono molto accurate per cui se ne deduce che non abbia predatori naturali (a parte l’uomo).

Ovvio quindi che dei tre alieni , quest’ultimo è quello che si inserisce in qualunque nicchia vitale dell’ambiente ittico!

La pesca professionale in Italia è inesistente in quanto la carne ha scarsissimo valore, un mediocre interesse esiste per la pesca sportiva esclusivamente per la taglia raggiunta da questa specie di cui sarebbe necessario il trattenimento del pescato e l’eradicazione.

E’ soggetto ad un certo bracconaggio (che tra l’altro penalizza la cattura di specie autoctone) in quanto vi è un certo interesse sia per la carne che per la pelle nei paesi dell’Est (pare venga conciata e ne facciano scarpe !!!) .

La grandezza dei soggetti e la longevità dei piccoli, ha drasticamente ridotto alcune specie autoctone originariamente presenti nell’areale padano (Storioni, anguille, tinche …)

Aggiungerei solo due elementi:

un appello per evitare nuove immissioni che, oltre ad essere illegali, sono sempre causa di gravi danni all’ecosistema autoctono

un invito a combattere questi nemici mettendoli nel piatto, se diventeranno bersaglio della pesca professionale potranno essere in qualche modo “contenuti” nel loro moltiplicarisi. Certo non tutti questi mostri sone edibili ma personalmente ho mangiato il pesce siluro cucinato con arte nel ristorante dell’amico Stefano e l’ho trovato nient’affatto male. Inoltre recentemente sono stati messi in campo progetti per la valorizzazione del pesce di lago, anche quello “povero”, che una volta lavorato a cura di pescatori locali, potrebbe diventare “risorsa” e non solo “pericolo”

Nel Medioevo si sviluppa la pesca d’acqua dolce

(di EmeritoEttore)

Con la disfatta dell’Impero Romano le prime a sparire furono le attività di pesca imprenditoriale. E’ la fine per la pesca al tonno, che aveva preso sempre più piede nella fase di massimo spelndore dell’Impero. Ciò per il rapido venir meno dei mezzi finanziari necessari per armare imbarcazioni sempre più perfezionate e reclutare equipaggi sempre più nimerosi; di una rete commerciale degna di questo nome; di una clientela in grado di acquistare merci anche molto costose; infine -ma certamente non come importanza- per il progressivo deteriorarsi delle vie di comunicazione, essenziali per un veloce trasporto di una materia prima tanto deperibile.

Di qui un nuovo modo di pescare, praticato dal singolo con strumenti di cattura molto semplici (piccole reti, nasse, lenze di fondo, fiocine) al solo scopo di rifornire direttamente di cibo la propria cerchia familiare, barattando eventualmente con altre derrate alimentari parte del pesce pescato. Un tipo di attività praticabile assai  più agevolmente in acqua dolce che in mare, cosicché la quasi totalità del pesce consumato a quei tempi veniva dai laghi, fiumi, stagni, nonche da piccoli ambienti acquatici artificiali quali i canali di alimentazione dei mulini e i fossati posti a difesa di edifici fortificati e di centri abitati (quello introno a Milano era fomoso per la ricchezza di pesci e di gamberi!).

Castello del Comune di Peschiera Borromeo

Pur con tutte queste limitazioni, mai in Occidente il pesce ebbe a giocare un ruolo tanto importante come nei primi secolo del Medioevo e ciò per l’estrema capillarità di quel suo “auto-approvvigionamento” di cui si è detto; l’estrema scarsità all’opposto di fonti proteiche alternative (poco o nulla della florida zootecnia romana era sopravvissuto alle invazioni barbariche); i numerosissimi giorni di “magro” -120/130 all’anno- previsti dal calendario liturgico dell’epoca, nei quali era proibito il consumo di carni di animali terrestri.

Maledetta pompa!

Nel mio impianto l’acqua dai fish tank scende per gravità gestita da tre valvole che rimangono aperte un quarto d’ora ogni ora (ogni 2 ore di notte). A riportarla “in quota” ci pensa una pompa da 10.000 lt/h che la raccoglie dalla sump.

Ieri (è la seconda volta che mi capita) la pompa mi ha lasciato, facendo scattare il contatore. Per fortuna le elettrovalvole sono del tipo “normalmente chiuso”, che cioè si chiudono quando manca la tensione e le vasche non si sono svuotate!

Ieri sera nella concitazione ho, per errore, tolto anche l’erogazione dell’aria ai pesci il che, senza circolazione dell’acqua, poteva causare un bel disastro! Fortunatamente, pare,  senza gravi danni.

Oggi in tutta fretta ho dovuto ripristinare la circolazione con una nuova pompa, questa volta una “signora Pompa”, spero di aver tolto di mezzo ogni imprevisto! Grazie all’onnipresente Yuri per l’assistenza telefonica!

Ph, piante e pesci: tra Scilla e Cariddi

Si è aperto un interessante dibattito a seguito del mio ultimo post, purtroppo non sui commenti del blog ma nelle mail che ho ricevuto, cercherò dunque di fare un sintesi sulla base della mia (povera) esperienza personale.

La questione è qual’è il Ph ottimale per un impianto di acquaponica? I pesci gradirebbero un Ph leggermente alcalino, diciamo 7,5 mentre le piante, stando ai manuali di coltura idroponica si gioverebbero di un Ph leggermente acido, diciamo tra il 6 e il 6,5.

Personalmente quando ho iniziato la coltivazione (settembre 2011) acquaponica avevo un Ph intorno ad 8,00, assolutamente esagerato per i canoni dell’idroponica, eppure non ho riscontrato alcun problema nelle piante, eccettuato qualche accenno di clorosi, prontamente corretto con del chelato di ferro.

Col passare del tempo, aggiungendo all’impianto eaclusivamente acqua piovana che recupero in un cisterna sotterranea dal tetto di casa, il Ph è sceso fino a 6,5.

A questo punto Simone, ittiologo di professione, ha preso le difese dei pesci consigliandomi di alzare, non tanto il Ph quanto la “durezza totale” (GH) dell’acqua, portendola a valori attorno al 15, l’innalzamento del Ph è la via attraverso la quale innalzare il GH.

Nel mio post ho portato l’esperienza del lago d’Orta proprio per testimoniare la rinascita di un bacino lacustre attraverso il governo del Ph (vedi link), ma certo nel lago non ci coltivano gli ortaggi!

Daniele, agronomo ma che lavora anche con i pesci ha portato questo contributo: … ho letto della tua interessante operazione di liming per assestamento della durezza dell’acqua , essendo il tuo un ambiente controllato deve comunque mantenere situazioni di vivibilità medie per piante e soggetti ittici. Spesso i problemi piu’ imponenti che assillano l’allevamento, (anche se tu hai quote di soggetti paragonabili ad un estensivo per cui non molto rischiose) sono la presenza di nitrati nell’acqua per una solvenza di deiezioni che per qualche motivo non vengono “annullate” dalle piante. di per se’ come sai il nitrato non è particolarmente pericoloso ma, con variazioni di ph tendente all’acido, puo’ trasformarsi in nitrito o nitrosamina e li son dolori. specialmente sui Persici questo squilibrio puo’ provocare ipertrofie, iperplasie branchiali o piccole emorragie, quindi , cosa che fai già, è ottima la tua attenzione su tre fattori per l’acqua, durezza-ph compatibili e presenza di nitrati in soluzione ... la tua situazione è esattamente quella di un laboratorio sperimentale ed è basata su equilibri, in effetti il chelato di ferro è un ottimo ammendante per la clorosi ma in dosi particolari (e qui mi fermo perchè non so quali possano essere) facilmente assorbibile dall’apparato branchiale dei pesci con teorico aumento di emoglobina e possibili (ma dico possibili e non probabili) piccole emorragie branchiali

Giulio invece più preoccupato per le piante mi scrive … Noi cerchiamo di tenere valori di ph tra 6 e 7, meglio intorno a 6.8. Se ti avvicini a 7.5 non rischi che le piante soffrano di “nutrient lockout”? E non riescano ad assorbire i nutrienti? 

Io non riesco più a recuperare il link ma ecco cosa dicono in proposito gli appunti che ho catturato in retePh appunti

Il dibattito è aperto, a tutti i lettori rinnovo l’invito a commentare sul blog, la discussione arricchisce i contenuti e dissemina competenze ed esperienze!

GIRO IN “VISITA PARENTI”

P1000055Giovedì Simone è stato da me in trasferta sul Lago Maggiore in “Visita Parenti”, ecco il resoconto romanzato della giornata.

Ore 8,30. Appuntamento alla stazione di Malpensa, destinazione “La Fattoria del pesce” a Marano Ticino per l’acquisto di altri pesci da stabulare per fornire azoto all’orto acquaponico estivo che tra poco comincerà a consumare. Ci affidano alle cure di un tecnico esperto che è 25 anni che lavora in “Fattoria”. Grande chiacchierata con Simone, conosci questo, conosci quello, quel pesce ha un segnetto, quello è migliore. Un mondo piccolo quello dell’allevamento del pesce d’acqua dolce nel Nord Italia! Ce ne veniamo via dall’azienda con un sacchettone ossigenato con 20 persici trota per un peso esatto di 5 kg. Ottimo per fare tutte le rilevazioni statistiche del caso sul loro accrescimento!

Ore 11,00. Di corsa all’acquaponica, non prima di aver contattato Stefano che ci farà visitare l’allevamento di trote marmorate da riproduzione che gestisce con l’amico Paolo e nel quale sta sperimentando la riproduzione del gambero di fiume. Rigorosamente autoctono!

All’Akuaduulza, sistemiamo i persici trota e diamo un’occhiata alle “zie tinchette” che mi aveva portato qualche mese fa. Simone le trova ingrandite e io ne vado fiero, a parte l‘incidente con lo scarico nel quale penso di averne perse una dozzina, ne è morta solo una su circa 250! Poi un po’ d’attenzione ai “cugini Persici” che, probabilmente a causa del delicato periodo riproduttivo, mi hanno dato qualche problema. Come in ogni “giro parenti” che si rispetti c’è anche una “visita al cimitero”. Ho infatti congelato i quattro persici che mi sono morti, Simone pratica un veloce autopsia, non trovando alcun segnale preoccupante. Parliamo un po’ delle caratteristiche dell’acqua e salta fuori che “Akuaduulza” è veramente troppo “dulza”. Devo alzare il grado di durezza della mia acqua (è talmente dolce che ci potrei allevare dei ciclidi americani!) Concordiamo insieme il lancio dell'”Operazione Lago d’Orta“, graduale inserimento di bicarbonato e misutazioni costanti di PH e GH (durezza totale).

Ore 13,00. Dopo aver sistemato i pesci si pranza al ristorante di Stefano, tutto a base di pesce, ovviamente!

Ore 15,30. L’appuntamento è a Ornavasso, appena Stefano riesce a liberarsi dal locale. La visita è molto particolareggiata Simone è sempre estremamente interessato e fa sempre molte domande, anche in questo caso un sacco di conoscenze in comune e peccato che non ci fosse Paolo che è il tecnico dell’allevamento altrimenti chissà quanti altri particolari …

Ore 17,30. A furia di parlare si fa tardi, si ritorna a Malpensa da dove ci sono più collegamenti delle Ferrovie Nord con la provincia di Como. Ringrazio Simone per la bella ed istruttiva giornata e mi scuso con i suoi bambini se papà ha fatto tardi!

P.S. Il primo tentativo di allevare i persici trota non era andato a buon fine, questa volta tutto sta già procedendo per il meglio, mangiano già, salendo con avidi balzi in superfice a contendersi il pellet che somministro loro.

P.P.S. anche l’ombreggiamento estivo della vasche è stato completatoP1000056